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Davide Zugna

fotografo

con Davide ho lavorato numerose volte

Sulla lettura della fotografia. Iconemi che non ci sono

“Roberto ci mostra un elemento d’arredamento domestico sottratto alla sua natura primaria, calandolo nel contesto della vita d’ogni giorno di un quartiere popolare. La foto è ben composta, gli elementi sono distribuiti quasi in una sezione aurea invertita; lo stacco cromatico è volutamente molto forte, ricercato, e l’angolo del muro finisce così per suddividere ulteriormente l’immagine in nuovi quattro quadranti, e in quello più in alto si percepisce chiaramente la volontà dell’autore di guardare più in là. I colori infatti, da destra a sinistra, passano dal cupo al brillante, ed è come se la figura sacra, appena visibile nell’immagine, finisse per illuminare delle tonalità del sole quel frammento di paesaggio urbano sul quale la credenza, custode di chissà quante e quali storie, ora riposa, come quella scritta appena accennata sul muro fa intuire”.

Nota iniziale: questa mia è una foto scattata per caso passando e, sì, qualcosa volevo raccontare: la fantasia di quelli che scelgono di lasciare i rifiuti ingombrati in strada anziché portarli in deposito (ne ho una serie intera: l’angolo, l’ingresso che porta al grande cortile del caseggiato dove viveva mia madre). Chi lascia il cammino della fotografia fatta per piacere personale (pari dignità ha quella che facciamo per lavoro) tende a prendersi spesso troppo sul serio, e a prendere la fotografia stessa troppo sul serio. In questi anni d’esperienza ho visto più fotografi dimenticarsi di sorridere, finendo per adottare un approccio, nei confronti dell’immagine fotografica, privo d’emozione. Finendo per diventare dei meccanici che si sforzano a tutti i costi di trovare una spiegazione, di imporre regole a qualcosa che nasce senza regole, e se sottoposto a regole forzate diventa artificio. Il valore del pensiero di Roland Barthes è indubbio ma: dobbiamo per forza dedicare ore e ore del nostro tempo a cercare di leggere, in una foto, qualcosa che quasi sicuramente non c’è? Che bisogno abbiamo di applicare una narrativa di qualche tipo a una fotografia urbana, che, in particolare quando è scattata per passione, è frutto di soggettività e spessissimo del caso, e se non lo è non meriterebbe di essere definita fotografia urbana ma teatro di posa? Quale necessità abbiamo di vestire i panni del critico fotografico, se non troppo spesso una sorta di vissuto senso d’inferiorità (ma inferiorità nei confronti di chi o di che cosa)? Non ho risposte, e non le cerco.

Nota finale: la parola “iconema”, nel dizionario italiano, trova corrispondenza principale in cinematrografia e meno in altro, e viene definita come “sequenza minima possibile che sia dotata di significato”. L’iconema è un qualcosa su cui noi costruiamo la nostra immagine: può essere anche un cestino di frutta. Non è un significante di un luogo geografico.

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