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Davide Zugna

fotografo

con Davide ho lavorato numerose volte

tempo inverso racconto di una sera

Arriviamo a piedi. Dieci minuti dal centro. Scatole, luci, riflettori. Macchine fotografiche. Siamo un bel gruppo: uomini e donne, le modelle arriveranno dopo. Sono le nostre regine: dovremmo dire che loro sono qui per noi, per mostrarsi ai nostri occhi attraverso l’obiettivo, e in realtà penso che sia il nostro turno di essere qui per loro. Per imparare. Per guardare, non c’è dubbio. Con che occhi guarderemo? Non lo sappiamo ancora. Quando arrivano, loro salutano tutti, sono cortesi, gentili. Una più fredda ma solo in apparenza; professionale. Paziente; parla poco. L’altra sorride spesso, per lei è più un gioco di seduzione e si vede: conosce la sua forza, l’esprime, richiama. Siamo ansiosi ma concediamo loro ancora un po’ di tempo: per il trucco, per vestirsi. Siamo in un piccolo albergo, tranquillo, accogliente. Abbiamo ancora tante cose da preparare: il tempo vola via. Le foto le faremo vicino alla piscina, due poltrone di vimini e un tavolino. È rettangolare, né grande né troppo profonda, di quelle dei film delle vacanze di Natale: con tanto di luce blu, la scaletta e le piastrelle di cotto marrone tutt’attorno. Di fronte alla scaletta c’è qualche sdraio in plastica e due ombrelloni: spostiamo tutto. Vogliamo fotografarle nell’acqua e le torce le montiamo inclinate, in corrispondenza degli angoli della piscina, in modo che la luce arrivi uniforme, da tutti e due i lati; niente ombre nel menu. Sul tavolino due bicchieri, due cannucce per ciascuna, una fetta d’arancio e un tovagliolo.

Perché i bicchieri? Chissà. Non ho in mente ancora nessuno scatto, ti sto solo guardando. Per capire come terrai il braccio, quando lo alzerai. Sto immaginando le tue labbra, e l’espressione che avrai nel tenerlo per bere. Forse userai la cannuccia, e allora non lo farò, quello scatto che ho in mente; però, adesso, ti guardo. Inizia tutto piano, come ogni volta. È più bello, iniziare piano, con dolcezza, anche con un po’ d’imbarazzo. Uno scatto, due, quattro scatti: siamo cinque metri di distanza, ma ti vedo bene. Posso guardarti negli occhi. Sei imbarazzata quanto me, non sai che cosa fare, e io non ti conosco ancora, non so guidarti in questo ballo, ci vuole più tempo. Lei ride, tu no. Un duecentesimo. Effedueeotto: troppo aperto. Il lampo illumina solo il tuo viso e dietro è tutto buio. Mi piace guardarti così. Sto cercando di capire chi sei, almeno un poco. So che fin quando non riuscirò a farlo, non avrò un’immagine di te ma solo delle foto, tante foto da buttar via. Chi ha più sesso in sé? Lei. Ce l’ha nel sangue. È meno brava, e tu sei più bella, lei ripete le stesse pose però è selvaggia. Lo senti, che stanno guardando di più lei: lo capisci dalla raffica di scatti quando lei si muove e dagli sguardi che cambiano direzione, lasciandoti sola. Anch’io guardo lei, eppure continuo a pensare a te e ad aspettare di poterti guardare per lo scatto che voglio, come sulla spiaggia, su quella pietra bianca. Pausa. Adesso ci parliamo, stiamo meglio assieme. Parliamo di quali pose potremmo chiedervi, e di come mettere le luci diversamente: forse possiamo usare un tempo più lungo e cercare l’effetto. È sera, fa ancora caldo, beviamo qualcosa assieme; abbiamo scattato per un’ora, e adesso sei più stanca, non ti difendi più. Anch’io sono più stanco e ricerco di meno, seguo il mio istinto. E continuo a guardarti. Contrasto, luce, scarpe nere. La posa quasi sdraiata non mi piace; mi piacciono le tue gambe, invece, le guardo a lungo e scatto due o tre volte, ma non riesco a fare quello che vorrei, stai pensando ad altro, guardi lui e non me dietro gli occhiali da sole. Sdraiati sul bordo della piscina, adesso, perché voglio guardarti ancora, più a lungo, di nuovo: scatto al buio. Ora siete vicine, vi toccate le spalle. Siete diventate amiche, in questi due giorni? Chissà. So che non vi siete mai viste prima. Che cosa provi, adesso, mentre le tocchi la spalla? Niente; è la risposta giusta. Potremmo chiedervi di più, lo fareste. Io amo guardarti, tu vuoi farti guardare: siamo qui per questo. Scendi in piscina, ci resti a lungo: hai il vestito addosso, sopra al costume, l’acqua è fredda ma aspetti lo stesso. Lui vuole immaginarti pantera, lei vorrebbe che tu danzassi in quell’acqua roteando il vestito. Faresti di più? Immagino di si. Ci guardiamo, adesso: dico due parole e tu sai che cosa vuoi fare.

Ho finito. È tardi, te ne devi andare; non è ancora mezzanotte e torni già a essere una ragazza che studia, e io il tuo fotografo venuto da un’altra città. Mi ripetono di nuovo come ti chiami: penso che ricorderò il tuo nome, non so se tu ricorderai il mio. Chissà quante ne hai viste, di fotografie, quante te ne hanno mandate. Spero che tu ricordi i miei occhi.

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