Una decina d’anni dopo la metà del Novecento, Roland Barthes, parlando di fotografie, sottolineò come la parola ‘immagine’ derivasse dal termine latino che significava ‘imitazione’. Partendo da questo, pose una questione che mi interessa sempre: possono, le immagini, per davvero essere un veicolo di significati, nel momento in cui sono esse stesse imitazioni o rappresentazioni dirette di qualcosa? È per davvero possibile che l’immagine costituisca un linguaggio? Se è così, come possiamo, utilizzando questo linguaggio, comprendere il significato di ciò che vediamo in una foto? Barthes utilizzò le immagini pubblicitarie per analizzare la questione, proprio perché esse vengono costruite per avere un significato e per trasmetterlo.
Per me la fotografia, sia il ritratto che la cattura di scene urbane, gli oggetti inanimati e persino il nudo e l’erotico, è sempre stata uno strumento con il quale cercare di parlare agli altri in un altro modo, a volte per superare le limitazioni del linguaggio o, se non di esso, le difficoltà che s’incontrano a volte cercando di farsi capire. All’inizio è stato qualcosa di fatto inconsapevolmente; poi, con il tempo, è diventata una scelta. Un modo per esprimere me stesso, per mettermi in gioco nella foto.